Fascismo ultimo atto, la rivoluzione culturale e teatrale di Basile

Fascismo ultimo atto, la rivoluzione culturale e teatrale di Basile

Roma 27 luglio 1943. Sono giorni convulsi quelli che sta vivendo il governo fascista dopo le tragiche dimissioni del Duce. Voci facinorose insinuano che il proclama letto dal camerata Dino Grandi il 25 luglio sarebbe stato atto a coprirne l’arresto. Quante menzogne! Quanta codardia!

Ma, duole dirlo, purtroppo non sono, questi, giorni facili per il nostro governo. I nemici sono sempre più presenti e striscianti. Un gruppo di giovani Balilla, in visita all’imponente Villa Torlonia, intima dimora del Duce, hanno raccontato di uno scontro acceso fra il camerata Dino Grandi e un’abietta giornalista dalle Americhe. Che fortuna dev’essere stata per quei giovani Balilla assistere al membro del Gran Consiglio difendere con tanto ardore il Fascismo e il suo orgoglioso avvenire!

Fossero tutti i fascisti Fascismo ultimo attomonolitici come il camerata Grandi. Quanti iniziano a tremare e a rinnegare i nostri valori? Quanti stanno seguendo le orme abominevoli e traditrici di colui che, invece, dovrebbe essere l’amico più caro del nostro Duce? Ci riferiamo a Galeazzo Ciano, che ora non ha più paura a mostrare il suo volto antigermanico e, aggiungiamo noi, anti-italico. Fortunatamente, però, il Duce non è solo, e molti sono i suoi alleati rimasti. Che sia d’ispirazione a tutti noi la più fraterna fra le amiche del Duce, Clara Petacci, che non ha esitato ad assalire, verbalmente e fisicamente, il traditore Ciano, tenendo alto l’onore delle donne italiche e fasciste.

Sono giorni duri quelli che stiamo vivendo, è vero. Ma il governo fascista andrà avanti come deve fare ogni buon camerata: a testa alta e senza timore.

Roma ai giorni nostri. La guida ci aspetta fuori da Villa Torlonia e, dopo aver distribuito cuffie e radioline, inizia a illustrarci le origini seicentesche della villa. Sembra una normalissima visita guidata. Un ragazzo è intento a fare foto con il suo cellulare, una coppia se ne sta un po’ discosta dal gruppo, molti seguono in silenzio la dottoressa Ilaria Sferrazza, la nostra storica dell’arte. Si procede tranquillamente fin quando non arriva, correndo, un giornalista: Dino Grandi, gerarca fascista, deve fare un annuncio d’importanza capitale. Ed è ora che veniamo catapultati indietro nel tempo, in quella Roma del luglio 1943 che vide il fascismo tramontare.

Fascismo ultimo atto, scritto e diretto da Luca Basile, concilia visita guidata e teatro itinerante. La visita procede, così, per molti minuti snodandosi attraverso gli edifici eccentrici e meravigliosi di Villa Torlonia per poi essere interrotta inaspettatamente dalla comparsa dei diversi personaggi, interpretati da Matteo Quinzi, Viviana Colais e dallo stesso Luca Basile. Così può capitare che, mentre si ammirano le rifiniture del tetto del Casino Nobile, ci si imbatta in Galeazzo Ciano.

L’accurata ricerca storiografica di Luca Basile è condotta soprattutto sui carteggi: ogni dialogo dello spettacolo è, se non vero, quantomeno verosimile. Con una particolare attenzione più al lato umano delle figure storiche che al profilo politico, il pubblico entra, così, in contatto con la malinconia inconsolabile di Clara Petacci, la risolutezza di Dino Grandi, i dubbi e la rabbia di Galeazzo Ciano nei giorni che seguirono l’esautorazione del Duce il 25 luglio 1943. “Fascismo ultimo atto” unisce visita guidata, scavo psicologico e rievocazione storica dei giorni finali del fascismo.

Clara-Petacci-Galeazzo-Ciano

Ideata quattro anni fa da Luca Basile insieme a Valerio di Benedetto, quest’inedita formula che ha il merito di amalgamare insieme il teatro e la visita guidata, è caratterizzata da una fortissima voglia di sperimentare. Vera e propria “guerrilla teatrale”, la rappresentazione si fonde con i luoghi reali, rompendo ogni separazione fra spettatore, attore e scenografia.

Spesso, durante le scene, molti curiosi si fermano e si avvicinano, inizialmente incerti, poi sempre più ipnotizzati dalla bravura degli attori. Quello di “Fascismo ultimo atto” è un teatro che non entra in punta di piedi, bensì irrompe prepotentemente nella realtà. Gli spettatori sono coinvolti in un tempo passato: la Storia, sia la Roma degli Imperatori o quella del Caravaggio, è resa presente. Il teatro di Luca Basile è un teatro che non chiede di essere guardato, ma vissuto.

pubblicato su: openmag.it

Scacco pazzo: la ricerca della risata ciclamino

In evidenzaScacco pazzo: la ricerca della risata ciclamino

E’ una guerra straziante quella che “Scacco Pazzo” porta in scena. Una guerra fatta senza nemici e senza vincitori. Solo di sconfitti. Nicola Pistoia e Paolo Triestino, accompagnati da Elisabetta De Vito danno vita a uno spettacolo claustrofobico, che pesta nelle viscere. Gli spettatori lasciano la Sala Umberto disorientati e angosciati, con la consapevolezza che “Scacco Pazzo” è entrato in profondità e che la sensazione di smarrimento difficilmente se ne andrà.

“Una scelta diversa dalle solite nostre” a detta di Triestino. E, infatti, “Scacco Pazzo” si scosta dalla produzione, pur sempre amara e impegnata, del trio, mirando molto più al tragico. La risata non è mai liberatoria o aperta. Una situazione che inizialmente viene accolta con un sorriso e uno sbuffo si protrae così a lungo da sfociare nell’umiliazione e nell’imbarazzo. Il sorriso diventa disagio e inquietudine, rendendo le scene ancora più destabilizzanti e angoscianti.

Antonio (Triestino), un uomo di cinquant’anni, è convinto di essere un bambino, a seguito di un incidente stradale. Di lui si prende cura il fratello, Valerio (Pistoia), anche per via dei sensi di colpa che lo affligono. Spesso l’unico modo per Valerio di calmare le crisi di Antonio è travestirsi da madre e padre, indossando parrucche e abiti logori, ricreando una famiglia ormai morta. Qualcosa sembra cambiare nel momento in cui Marianna (De Vito), fidanzata di Valerio, si trasferisce con loro. Che sia ancora possibile essere felici?

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La ricerca di una felicità perduta è uno dei temi principali di “Scacco Pazzo”. L’ambigua follia di Antonio mira, infatti, a ristabilire un’età mitica in cui le cose andavano bene, in risposta al tragico incidente che uccise la donna che amava proprio il giorno del matrimonio. Ma la ricerca assume i toni disperati e sanguinari di una guerra: non a caso il gioco infantile che ossessiona Antonio sono i soldatini, il suo continuo disporli come vedette e sentinelle.

L’altro perno complementare su cui ruota “Scacco Pazzo” è il passato. Nella sua monomaniacalità, Antonio costringe il fratello a una patetica pantomima passatista. Ma lo stesso Valerio è incapace di andare avanti. La tragedia di “Scacco Pazzo” è questa: un passato felice diventa ora una prigione, la cui unica fuga è una pazzia ambigua. Solo i discorsi surrealistici di Antonio, con le risate dai mille colori, offrono momentanei attimi di respiro, andandosi a scontrare, esplodendo, contro le mura smorte della casa e della realtà.

Una scenografia cupa e atemporale sottolinea, infatti, quest’aria grave e claustrofobica in cui sono costretti i personaggi. L’intero spettacolo, infatti, si svolge all’interno dell’angusto salotto della casa dei due fratelli. Il tavolo scarno e grigio, le altissime pareti smorte tagliano lo sguardo allo spettatore, che non ha vie di fuga ed è imprigionato sulla scena, resa ancora più cruda da una luce impietosa che illumina l’azione. Quella di “Scacco Pazzo” è una tragedia inesorabile.

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Il ritmo di “Scacco Pazzo” procede per ciclici rilasci di tensione, come valvole di sfogo. I confronti reiterati fra i tre personaggi spesso si fermano un attimo prima di raggiungere il climax massimo. La sensazione è quella di una tragedia che sta per avvenire e che attraversa l’intera azione, e che è soltanto rimandata. Inoltre, la mancanza di uno sfogo vero e proprio, impedisce ogni liberazione o risoluzione. Si procede senza mai muoversi realmente. Se le prove attoriali sono di altissimo livello, non è da meno la scrittura di Vittorio Franceschi. Giunto alla sua terza rielaborazione, dopo lo spettacolo teatrale del 1991 e il film del 2003, “Scacco Pazzo” non ha perso nulla nella sua forza viscerale. Intriso profondamente del teatro e della letteratura novecentesca, da Pirandello a Beckett, la sua riflessione sulla follia e l’inquietudine risulta ancora profondamente attuale. “Scacco Pazzo” rimane attaccato per molto tempo anche dopo la sua conclusione. E’ una ferita aperta, che lo spettatore non può fare a meno di tormentarsi.

pubblicato su openmag.it