favole del morire

favole del morire

Favole del morire si apre con una stanza buia stipata di barattoli di corpi d’animali in via di decomposizione. La camera sembra quasi collassare sul lettore, non lasciandogli via di fuga. E’ un inizio claustrofobico, cupo e suggestivo quello del nuovo libro di Giulio Mozzi.

front_mozzi_DEFFavole del morire è un vero e proprio UFO letterario fin dal suo continuo passaggio dalla prosa alla poesia. Si può, quindi, parlare di prosimetro, ma Mozzi va probabilmente oltre, creando un pastiche formato da teatro, invocazioni, favole e meditazioni. Superato il primo frangente di spaesamento formale, la seconda richiesta che fa Mozzi al lettore è quella di ruminare la sua scrittura. Favole del morire, in tutte le sue varie forme e declinazioni, è caratterizzato da una costante ricerca della citazione, spesso colta e al limite dell’indecifrabile (si cita, per esempio, un madrigale seicentesco di Tommaso Stigliani, o una chanson di Clément Marot). Anche la composizione è particolarmente elaborata, soprattutto in alcuni momenti in prosa, dove sfiora una peculiare ibridazione fra il mantra e la ripetizione ossessiva.  L’eterogeneità del formato e la scrittura conturbante ma complessa non sono fini a se stesse. Arriviamo, quindi, al punto centrale di questa raccolta: il morire. “Del morire non sappiamo niente. Eppure lo immaginiamo”, scrive Mozzi. Riuscire, perciò, a rendere comprensibile, o meglio immaginabile, il morire richiede di dispiegare l’intero armamentario letterario, formando un caleidoscopio di attimi e interpretazioni. Magari anche in contraddizione l’uno con l’altra, poiché il morire è al contempo un’esperienza universale, ma significativamente individuale. Questo però nei momenti migliori.

Non sono poche, purtroppo, le volte in cui al lettore sembra di star girando a vuoto. Il limite maggiore di questa raccolta è il fatto di non essere stata pensata come tale, ma di raggruppare tutta una serie di scritti dal 2003 al 2014. La scrittura, in diversi casi, sembra incepparsi. Fatto comprensibile se si pensa che alcuni di questi testi furono scritti non per una lettura, ma per essere recitati in spettacoli teatrali e reading. Anche il leitmotiv del morire degenera occasionalmente in un McGuffin. Viene da pensare che Favole del morire avrebbe giovato nella sua solidità senza la ridondanza di Tre invocazioni o l’anonimicità di Operetta di giugno. Complessivamente, però, non si può negare il fascino della raccolta di Mozzi. Forse la cosa migliore per il lettore è prendere i diversi testi come momenti letterari separati, più che un insieme sistemico.

Favole del morire si apre con una claustrofobica stanza dell’orrore, e si chiude con un respiro: una speranza.

in corso di pubblicazione su rivistaunaspecie.com

A Ostia Antica dibattito sulla mafia

A Ostia Antica dibattito sulla mafia

Venerdì 3 luglio, in occasione della Festa dell’Unità di Ostia Antica, si terrà la presentazione di “Cinematografia organizzata” di Francesca Romana Massaro e “Nel cuore di chi resta” di Anna Maria de Luca. Con la moderazione di Luisa Laurelli, Presidente della Commissione Sicurezza e Lotta alla criminalità, il dibattito, a partire dalle 20, vedrà coinvolti Manuela Campitelli e Francesca Diamanti, membri dell’associazione Punto D, organizzatrice della serata, Nicoletta Guelfi della Federazione antiracket italiana. Ma centrale è anche l’arte, con la mostra fotografica “Mai più” e il reading di Claudio Castrogiovanni, attore ne “Il Capo dei capi”, “Squadra Antimafia”, dei due libri della Massaro e de Luca.

Una serata e un luogo importante: Ostia Antica. Risale appena a giugno l’arresto dell’ex presidente del X municipio, Andrea Tassone, in occasione del prosieguo delle indagini di Mafia Capitale. Ma è soltanto l’ultimo di una purtroppo lunga lista di azioni criminose, che vanno dalla gambizzazione ai roghi, fino a sfociare anche negli omicidi. A Ostia c’è la mafia, così il democratico Orfini. Ecco, quindi, che eventi come quello di venerdì 3 luglio divengono fondamentali.

image002“Nel cuore di chi resta”, il libro di Anna Maria de Luca raccoglie quasi trenta testimonianze, provenienti da tutta Italia, fatte alle famiglie delle vittime di mafia. Riportando le parole delle donne che hanno visto i propri figli, fratelli o mariti morire perché combattevano la criminalità organizzata, Anna Maria de Luca si interroga su cosa accade quando i riflettori mediatici si spengono e le famiglie tornano a vivere nella quotidianità di quelle tragiche realtà.

“Cinematografia organizzata” di Francesca Romana Massaro, invece, è un’inchiesta sul rapporto a doppio filo che lega cinema e mafia. Anche lei raccoglie molte testimonianze e aneddoti, che spesso sfociano nell’inquietante. L’intento è quello di descrivere ciò che accade quando la mafia entra sul set. In particolare, della difficoltà di girare in certi luoghi e di come, spesso, siano inevitabili i tentativi di infiltrazione mafiosa.

Un’infiltrazione che si è andata sempre più inasprendo nel tempo. Uno degli aneddoti del libro racconta, infatti, di come durante le riprese de “La Piovra“, la celeberrima serie degli anni ’80 sulla mafia, le riprese venissero interrotte perché qualcuno si metteva di fronte alla camera, oscurandola, chiedendo soldi. Episodio che fa quasi sorridere se confrontato con la pressione subita da Gianluca Curti durante le riprese di “La Bas” nel 2011, quando dovette fingere di star girando un film pornografico, per poter ottenere il permesso dal sindaco di Castelvolturno (poi arrestato proprio per mafia).

cinematografia-organizzataMa, quelli della mafia, sono tentacoli che non si limitano solo a estorsioni o intimidazioni. Spinti probabilmente da un egocentrismo che sfiora l’egomania (oltre che, ovviamente, per il guadagno), i boss arrivano a voler far parte anche del mondo che viene rappresentato, imponendo le proprie comparse e inserendosi nei rapporti produttivi. Come quando, racconta la Massaro, la troupe di “Squadra Antimafia“, per girare all’interno di un mercato coperto, fu costretta a dare risalto alla presenza del boss locale.

Come il libro della de Luca, anche quello di Francesca Romana Massaro dà risalto al ruolo della donna. Donna che non è più il sesso debole. Nè nella lotta alla mafia, nè nell’organizzazione criminale in sè. Ma neanche nella sua rappresentazione mediatica: dalle donne succubi di “La Piovra” si è passati alla donna-imperatrice di “Gomorra”. Inoltre, sottolinea la Massaro, nelle altre organizzazioni criminali a differenza della mafia, come per esempio nella ‘Ndragheta, le donne avevano già un ruolo di prima importanza, divenendo reggenti quando non vi erano uomini per comandare.

pubblicato su openmag.it

Guareschi: non solo preti e comunisti

Guareschi: non solo preti e comunisti

Una vita decisamente avventurosa e ingarbugliata quella di Giovannino Guareschi. Figlio della piccola borghesia, Guareschi, nasce il 1 maggio 1908 nel Mondo Piccolo di Fontanelle di Roccabianca, frazione parmense. Durante la Seconda Guerra Mondiale, in seguito all’armistizio dell’8 settembre, ritrovatosi ad Alessandria rifiutò di disconoscere il re e fu inviato in un campo di prigionia tedesca. Le cose non migliorarono con la pace: nel 1954 Guareschi, nonostante le sue posizioni filo-democristiane, venne condannato per diffamazione nei confronti del  presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi, in un processo controverso e pieno d’ombre. Morì il 22 luglio 1968 per un attacco di cuore.

Ma, forse, per comprendere a pieno la figura umana di Guareschi conviene guardare le sue opere, più che la sua biografia. Giornalista, disegnatore e umorista, con oltre venti milioni di copie vendute, è uno degli scrittori italiani più tradotti all’estero e a lui si devono i cicli di racconti dedicati a Don Camillo e Peppone, capaci di rappresentare l’Italia nell’ingresso nella modernità.

guareschi

Il mondo piccolo di Guareschi

La produzione più significativa di Guareschi è sicuramente il ciclo di Mondo Piccolo su Don Camillo e Peppone. La serie di romanzi a episodi, il primo uscito nel 1948, descrive la vita in un piccolo centro di periferia padano, concentrandosi sui conflitti fra il prete Don Camillo e il sindaco comunista Peppone, il tutto mediato dalla figura parlante del Cristo crocefisso. Da questo ciclo furono tratti altrettanti film di enorme successo.

Lo scontro vertiginoso fra modernità e tradizione contadina si riscontra in due scelte peculiari di Guareschi: la descrizione del Cristo e la struttura narrativa dei diversi episodi. Il crocefisso del Cristo che parla con Don Camillo, con i suoi consigli e i suoi piccoli miracoli, risulta soltanto superficialmente evangelico, ma a un livello più profondo molto più legato alla terra e alle tradizioni rurali, con i suoi modi bonariamente spartani. Una versione addolcita del Dio sanguigno di Faulkner.

La struttura dei diversi episodi, molto simili a strisce a fumetti, quasi sempre auto-conclusivi, è fissa: un conflitto fra Peppone e Don Camillo viene a turbare la tranquilla immobilità del paese, che si risolve in un accordo burrascoso fra i due. Peppone, infatti, nonostante il suo Comunismo di cui Guareschi era un profondo oppositore, risulta un uomo, seppur ignorante, dal cuore buono. La modernità viene, cioè, mondata dalla forza di una realtà cristianamente agraria.

Guareschi, Candido e comunismo

Ma sarebbe sbagliato limitare la figura di Guareschi all’unica produzione di Mondo Piccolo. Egli è stato, infatti, anche uno dei più importanti umoristi italiani. Fin da giovanissima età, su consiglio di Cesare Zavattini, Guareschi iniziò a collaborare con riviste satirichecome il Bertoldo, chiuso durante la Seconda Guerra Mondiale. Tornato dal campo di prigionia, fondò nel 1945, Candido, settimanale satirico d’impronta monarchica.

Dio-Stalin-352x450-235x300Guareschi, infatti, si distinse per le sue simpatie monarchiche e cattoliche. Questo lo portò a scontrarsi risolutamente contro il PCI. A lui si devono molte campagne anti-comuniste entrate nell’immaginario collettivo. Ma, così come la sua simpatia democristiana non gli impedirà di criticare aspramente De Gaspari, l’avversione ideologica di Guareschi non si tradurrà mai, a nessun livello, in un’avversione umana misantropa. Non a caso fu accusato dalla destra di aver umanizzato troppo i comunisti, ad esempio con la figura del sindaco Peppone.

Il successo di un autore

E’ apparentemente sorprendente come un autore profondamente legato al territorio come Guareschi sia anche l‘autore italiano più tradotto. Una delimitazione non soltanto spaziale, se si pensa che per ammissione stessa di Guareschi i racconti di Mondo Piccolo, almeno della prima raccolta, avvengono tutti nel breve arco temporale dal dicembre 1946 a quello del 1947. Eppure le profonde radici storiche e geografiche non hanno impedito la diffusione dei suoi romanzi. Perché?

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Probabilmente è perché le storie di Don Camillo e Peppone, dell’incontro violento fra fede, modernità e tradizione, sono in realtà storie senza tempo. Così come Guareschi non può essere incastonato in nessuna corrente politica precisa, tradendole tutte, così le storie, visceralmente umane, di Mondo Piccolo, fatte di violenza e conciliazione, riflettono al contempo la situazione italiana del Dopoguerra, ma la trascendono anche, diventando universali. L’altra grande illuminazione di Guareschi è che soltanto grazie all’umorismo, storie di una crudezza insopportabile, possono essere lette e amate.

pubblicato su: openmag.it

“Come l’ortica”: il primo romanzo sui DSA

“Come l’ortica”: il primo romanzo sui DSA

Riuscire a parlare dei DSA, ovvero i Disturbi Specifici di Apprendimento, è particolarmente difficoltoso. Soprattutto se si vuole farlo non con un saggio, ma con un romanzo, come Cristina Romano nel suo “Come l’ortica“, il primo a trattare questi temi. Il rischio è infatti quello di o eccedere troppo nel romanzato o, al contrario, di mettere in secondo piano le regole narrative in favore di istanze più prettamente saggistiche e divulgative sui DSA. Cristina Romano cerca di muoversi su questo labile confine.

I DSA, come si legge in uno dei passi maggiormente esplicativi del libro, colpiscono l’apprendimento implicito, cioè quegli “apprendimenti di cui non siamo consapevoli” come per esempio il linguaggio verbale. I DSA si possono manifestare sotto varie forme e tipologie: dislessia, discalculia, disgrafia e così via. Il 5 percento dei bambini in età scolastica ne è affetto (sempre come fonte il libro di Cristina Romano). Proprio nell’ambiente scolastico s’inserisce il punto di vista di Benedetta, la protagonista di “Come l’ortica”.

La voce narrante è quella di Benedetta, che, ormai adulta, ripercorre la sua infanzia. Un’infanzia particolarmente difficile, orfana e cresciuta dalla nonna, Benedetta vive in una realtà, famigliare e scolastica, dove i DSA vengono scambiati, più o meno in cattiva fede per stupidità e pigrizia. Fortunamente però Benedetta non è sola. Fondamentali saranno per la sua presa di coscienza la zia Margherita e la maestra Giordana. “Come l’ortica” è la storia della battaglia di Benedetta contro i pregiudizi verso i DSA.

L’urgenza di un romanzo come quello di Cristina Romano deriva dalla reticenza che si ha nel parlare dei DSA, messo anche in luce nella storia di Benedetta. L’autrice, forte della sua esperienza come insegnante, è ben consapevole che per porre fine a questo velo è necessario non l’ennesimo saggio, bensì una storia che possa far presa su un pubblico più vasto, colpendo, così, anche un lato emotivo che alla saggistica è precluso.

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Purtroppo proprio su questo versante poggiano i limiti più gravi di “Come l’ortica”. I personaggi non riescono mai veramente a diventare reali e acquistare una profondità, risultando troppo spesso artificiosi. Non si riesce mai ad affezionarsi a loro e alle loro vicende: nascono e muoiono come macchiette incatenate dal loro rapporto con i DSA. Anche la voce narrante di Benedetta tende a confondersi e alternare momenti infantili a un linguaggio fin troppo adulto e specialistico. Dello stesso problema soffrono i dialoghi, spesso verbosi e forzati.

“Come l’ortica”, quindi, eccede troppo, seppur comprensibilmente, nella sua voglia di chiarezza espositiva di tutto l’universo DSA e della sua stigmatizzazione, a scapito dell’aspetto più squisitamente narrativo. Ma resta, comunque, un libro che merita di essere letto proprio per poter far chiarezza sugli aspetti tanto bistrattati dei DSA. In quest’ottica s’inserisce la decisione presa dall’autrice e dall’editore di togliere i diritti di Copyright e concedere a tutti la possibilità di diffondere il testo in qualsiasi modo.

LINK: http://openmag.it/blog/2015/06/19/lortica-primo-romanzo-sui-dsa/